“Se dentro di noi non abbiamo pace, non servirà a nulla cercarla al di fuori”
Aprile, mese del dolce dormire, della fioritura, dei primi soli caldi, del tempo che sembra più lungo e, a parte qualche compromesso con marzo, della Pasqua. Con questa, momenti di riunioni familiari importanti, celebrazioni e significati religiosi che si tramandano e in cui ognuno è immerso a livelli di profondità diversa.
Proviamo ad immergerci.
Uno dei significati più diffusi del termine Pasqua, in ebraico pesah, è “passare oltre”. Rimanda, quindi, ad un passaggio, una transizione: il risorgere inteso psicologicamente come spinta evoluzionista verso il rinnovamento del proprio sé, concedendosi di attraversare i cambiamenti delle proprie ricerche interiori. Insieme alla primavera, ci affianca nel compito di risvegliare sé stessi , quelle parti tenute al calduccio e al riparo durante il freddo inverno.
Cogliamo, in questo tempo, la possibilità di rinnovarci. Coltivare e restaurare la connessione con noi stessi.
Trovare la pace. Quella interna, quella che implica il mettere in pausa le pretese, gli obblighi che diamo a noi stessi e che lascia spazio al fermarsi e al respirare;
che ci concede di mettere in pausa le battaglie che quotidianamente combattiamo;
che ci consente di perdonarci per queste stesse troppe pretese e per l’eccessiva durezza e che ci apre alla gentilezza e al riposo;
che ci concede di riconciliarci anche con le parti più difficili.
E poi, che prepara al germogliare dell’affetto genuino per noi stessi e al piacere di riempirsi di quello dei propri cari.
Questo il mio augurio: ritrovare la propria pace e poi, concedersela.

